Monica era una visione. Alta, slanciata, occhi azzurri e capelli biondi, frequentava l’ottavo livello di lingua inglese presso l’istituto popolare femminile, ed era considerata da tutti l’allieva più brillante. Monica, però, aveva un difetto. Era presuntuosa, scostante e arrogante e questo la rendeva sgradita alle sue compagne di classe che tendevano ad evitarla.
L’obiettivo di Monica era chiaro: superare l’esame finale e diventare la collaboratrice, a partire dal livello successivo, di Jennifer, l'affascinante insegnante londinese che dirigeva il corso. Monica aveva affrontato l'esame con la noncuranza e la sicurezza di chi conosceva già l'esito. Era la migliore, la posizione era sua di diritto. Pochi giorni dopo, Monica si era recata all'istituto per controllare i risultati affissi nella bacheca, sicura di essere già la collaboratrice di Jennifer, ed era rimasta di stucco. Il suo nome era al secondo posto. Al primo posto, con un margine di quasi un punto, c'era quello di Claretta, una bella donna di trentacinque anni, silenziosa e apparentemente dimessa, che Monica aveva sempre liquidato come scarsa. L’idea che proprio Claretta l'avesse superata era inaccettabile. Monica, fuori di sé, si era precipitata nell’ufficio della signora Gina, la dirigente dell’istituto e aveva chiesto spiegazioni.
«Signora, c’è stato chiaramente un errore. Ho bisogno di vedere la mia prova. Come ha potuto Claretta prendere un voto più alto del mio?» aveva chiesto Monica indignata.
La signora Gina, visibilmente a disagio, aveva replicato.
«Monica, i risultati sono stati verificati. Jennifer è stata scrupolosa. Mi dispiace, ma devi accettare il suo giudizio »
Monica era uscita dall’istituto delusa e nei giorni seguenti aveva tentato di parlare di quell’inspiegabile verdetto con alcune delle sue compagne di corso. Si aspettava solidarietà, una rivolta, invece aveva trovato solo indifferenza o, peggio, un’ombra di tacita soddisfazione per la sua caduta. Le risposte erano state perentorie. Claretta aveva preso il voto più alto e meritava di essere l’aiutante di Jennifer. Fine della storia.
Poi era giunta l’estate, infinita, torrida, luminosa, ma anche amara, perché Monica non riusciva a dimenticare l’ingiustizia subita. Ricordava ora, con una chiarezza dolorosa, la grossa simpatia che Jennifer aveva sempre mostrato per Claretta durante le lezioni. Quella simpatia, Monica ne era ormai convinta, si era tramutata in imbroglio. Jennifer aveva barato per assicurarsi Claretta come collaboratrice. Un pomeriggio di luglio, mentre il sole batteva implacabile, Monica aveva preso una decisione dettata dall’ossessione. Si era seduta al computer e aveva digitato l'indirizzo del sito personale di Jennifer. Doveva esserci una prova. Qualcosa che dimostrasse che la bella insegnante l'aveva ingannata. Monica aveva navigato a lungo, tra pagine di curriculum vitae e foto di gite, finché non aveva scoperto un’area dal titolo bislacco“ Il trionfo delle due gatte immorali.”Monica era entrata ed era rimasta esterrefatta. Una marea di foto riempiva la pagina. C'erano Jennifer e Claretta, entrambe vestite con costumi attillati da gatte nere, con orecchie e code, atteggiate in pose tracotanti, quasi di sfida. Il centro della composizione era la foto, generata con l’intelligenza artificiale, di una bella ragazza bionda, dall’aria palesemente antipatica, che osservava una cornice vuota affissa su un muro, atteggiata in una posa che esprimeva incredulità. Sotto ancora, una serie di figure virtuali raffiguravano i volti di donne vestite da topoline, dall’aria docile e un po’ intontita.
Una strana frase accompagnava la composizione, come la didascalia di un incubo:
“Le due gatte maliziose hanno distrutto la bionda insopportabile”.
Monica si era riconosciuta immediatamente nella figura bionda virtuale. Era lei. Era il ritratto digitale della sua arroganza, trasformatasi in cocente delusione, creato apposta per irridere e umiliare. L'inganno non era solo accademico, era pianificato e perfido. Attonita e irritata, Monica aveva stampato la pagina incriminata e si era recata all'istituto, presentandosi senza preavviso dalla signora Gina e posando la stampa sulla sua scrivania. La signora Gina aveva esaminato le immagini poi, aveva balbettato.
«Monica, devo ammettere che sono turbata, ma ...»
La dirigente aveva alzato le mani, in un gesto di totale impotenza e aveva aggiunto.
«Questa rappresentazione mostra solo Jennifer e Claretta vestite da gattine. Il resto – la bionda, le topoline, la frase – è tutto virtuale. Come posso intervenire contro una realtà costruita da una macchina. Quella bionda ti assomiglia ma non sei tu. Le topoline dovrebbero essere le altre allieve, ma hanno volti diversi. Quella frase parla di una bionda distrutta, ma non ne specifica ne il nome, ne il cognome.
Monica aveva tentato di controbattere ma si era resa conto presto che era una battaglia persa. Jennifer e Claretta avevano studiato bene il piano per demolirla. In effetti c’erano solo i loro nomi e i loro volti. Il resto era una specie di rappresentazione teatrale, sottilmente infida e basata su personaggi fittizi. Monica aveva ritirato la stampa, l’aveva accartocciata ed era uscita dalla scuola. Il sole estivo la inondava e sembrava ricordarle che Jennifer e Claretta non l’avevano solamente ingannata, l’avevano derisa e soprattutto l’avevano sconfitta in modo ingegnoso e ipocrita. Monica, come una mosca ormai prigioniera della tela di un ragno, mentre avanzava sotto il sole che diventava sempre più incalzante, aveva dovuto ammettere che Jennifer e Claretta le erano state superiori e che l’avevano indiscutibilmente domata.
La Bionda Insopportabile testo di bizzarre